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ALESSANDRA POLITI – “Spesso ho l’impressione che la notte sia molto più viva e riccamente colorata del giorno” così scrive Vincent al fratello Theo, in una di quelle notti trascorse a pitturare le stelle, dopo aver accuratamente incastrato alcune candele nel suo cappello di paglia, per vederci meglio. Novecento dipinti e più di mille disegni, tutti invenduti nel breve arco della sua vita infelice e profondamente disturbata da problemi di salute.
“Sono un uccello in gabbia in primavera, che sa perfettamente a cosa è destinato, ma scaglia ugualmente il capo contro le sbarre ferrose”.
Il 30 marzo del 1853 nasce a Zundert, nei Paesi Bassi, uno dei pittori più famosi, più geniali e anche più discussi del XX secolo. Una geniale maestria, che mai gli fu riconosciuta nel suo tormentato percorso di vita.
Un successo postumo, un talento scoperto molto tardi, una grandezza che nessuno identificò, se non dopo la sua morte. Egli stesso si definì “Una nullità, un uomo eccentrico e sgradevole, che non ha posizione sociale né mai potrebbe averne una: in breve, l’infimo degli infimi! Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno”.
Sarà proprio la consapevolezza di essere considerato una nullità a creare il genio. Perché cosa fa un uomo quando è flagellato dal suo male di vivere? Cosa fa quando è martoriato da quell’incessante e martellante rumore all’orecchio, oltre ad arrivare a mozzarselo per provare a farlo tacere una volta per tutte? Cosa s’inventa per affrontare il dolore senza piegarsi e le delusioni, restando integro e degno? Come vivrà sinceramente quel suo vento sfavorevole?
Quell’uomo lo vivrà con una meta da raggiungere, tenendo sempre bene a mente che una vita laboriosa di fatica vale molto di più di un facile successo. E quel suo duro lavoro non solo sarà premiato, ma gli restituirà un’eterna verità: quella d’esser ripagato, ricevendo i meritati plausi, che renderanno il suo nome immortale nei secoli, nella storia dell’arte.
Cosa fece di Vincent un uomo dal carattere così difficile e instabile?
L’infanzia. Il suo ruolo di sostituto del fratello, nato morto un anno esatto prima di lui, a cui pure era stato dato il nome Vincent. Lui crebbe come un bambino solitario e taciturno e così restò, costruendosi una personalità mutevole, scontrosa e un’esistenza irregolare.
“La mia giovinezza è stata triste, fredda e sterile”, ma a noi cosa lascia di questa sua presunta sterilità e freddezza? Ci lascia il giallo dei suoi amati girasoli, dei covoni di grano, delle pareti della sua casa.
Paradossalmente ci lascia gioia di vivere, serenità, vitalità sorprendente, azzurro del cielo, oro del grano, luce del sole.

Giallo proprio come il sole, “Pura vita, gioia di esistere”, una ricerca di quella felicità tanto agognata.
Giallo cromo, di cui l’artista si cibava e non solo metaforicamente: è noto che Vincent ingerisse il colore direttamente dal tubetto, per assorbirne completamente gli effetti.
Giallo come forza della natura, quella forza vorticosa e inoppugnabile che il pittore trasferirà sulle sue tele, proiettando la propria dimensione interiore e il suo straziante e inascoltato grido di dolore.
Degli ultimi suoi anni, Van Gogh ci lascia la migliore delle sintesi possibili sul suo destino, tra arte e disperazione.
Logorato dalla frustrazione, malato e povero, il 27 luglio 1890, all’età di 37 anni, durante una passeggiata in campagna, si sparerà con un revolver e morirà, due giorni dopo, tra le braccia del fratello Theo, che egli considerò l’unico vero amico della sua vita.
“Se varrò qualcosa più in là, la valgo anche adesso, perché il grano è grano, anche se i cittadini all’inizio lo scambiavano per erba”
Profetico e ascetico, come ogni genio dev’essere!

