Premio Nobel

Premio Nobel per la Letteratura 2021: Abdulrazak Gurnah dai campi profughi ai vertici della narrativa mondiale

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Premio Nobel

ALESSANDRA POLITI – Tutto cominciò nel lontano 1895, quando Alfred Nobel, ricchissimo uomo d’affari, inventore e chimico svedese, lasciò in eredità buona parte della sua fortuna a un fondo, con cui finanziare un premio.
Il fondo, di premi, ne istituì ben cinque, da attribuire annualmente a persone il cui lavoro era stato finalizzato ad apportare grandi benefici per l’umanità. Cinque furono, quindi, le categorie prescelte: fisica, chimica, medicina, letteratura e pace. Successivamente se ne annoverò una sesta, economia.

Diversi campi dello scibile umano, in cui uomini di grande valore si distinguono per le loro ricerche, scoperte e invenzioni, per le loro opere letterarie, per l’impegno in favore della pace.
Quest’anno, esattamente il 7 ottobre 2021, è stato assegnato il Nobel per la letteratura ad Abdulrazak Gurnah, (scrittore tanzaniano nato a Zanzibar nel 1948 e autore di molte opere in inglese) per la sua “intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti”.
Nei suoi libri, infatti, Gurnah, giunto in Inghilterra come rifugiato alla fine degli anni ’60, tratta l’esperienza dell’emigrazione e il senso di sradicamento provato da chi è costretto volontariamente o no all’esilio, quindi l’abbandono della propria terra, il colonialismo, la memoria, la ricerca di una nuova identità.

Gurnah è il romanziere dell’Africa e tutti i suoi personaggi sono nati a Zanzibar, tutti hanno maturato l’esperienza diretta del razzismo e provato il senso di alienazione che ne deriva: così Daud in Pilgrim’s Way; Dottie, la giovane ragazza nera alla ricerca delle proprie radici; la narratrice di Admiring Silence; Saleh Omar e Latif Mahmud in Sulla riva del mare, il dodicenne Yusuf in Paradise e Rashid in Il Disertore.
Oltre ad occuparsi di saggi accademici sulla scrittura africana e a compiere analisi su numerosi scrittori contemporanei, Gurnah scrive ben dieci romanzi, nei quali riflette sulle esistenze dei suoi personaggi e sui loro percorsi individuali, ponendo al centro il senso di inadeguatezza dello spirito umano, accentuato dalla condizione di precarietà del migrante e del rifugiato.
Nel clima inebriante della transizione dal colonialismo all’indipendenza, balzano quindi prepotenti i temi della libertà e dell’oppressione, attraverso storie in cui si intrecciano vicende personali, non senza venature autobiografiche, e questioni politiche della costa orientale dell’Africa.
Gurnah in Italia è ancora poco conosciuto: soltanto tre testi sono stati tradotti nella nostra lingua (Paradiso, Sulla riva del mare, Il Disertore). I suoi scritti sono tutt’altro che “semplici”, le sue strutture narrative sono sofisticate e complesse, la lettura di testi simili richiede molta attenzione, passione e pazienza. Solo leggendolo, si acquisisce via via una certa familiarità col suo modo di narrare e ci si accosta alle sue verità con sempre maggiore consapevolezza. Quando non c’è nulla di scontato e di immediato, occorre del tempo per apprezzare pienamente uno scrittore.
I primi romanzi sono più lineari nello svolgimento, meno frammentari, ma è nelle opere della maturità, quelle più note, che principalmente cogliamo gli intrecci storici e geografici che Gurnah costruisce attraverso i suoi personaggi.
La sua attività di studioso e docente permea la sua narrativa e permette di coglierne elementi centrali, proprio nel travaso di idee e concetti approfonditi ed elaborati nei suoi corsi, creando così quell’intersezione tra ambiti di lavoro diversi, che poi rende un autore particolarmente produttivo.
Il suo destino di migrante e rifugiato ha così segnato la sua vita in maniera determinante: è lo stesso destino di chi richiede asilo e poi ottiene uno stato di rifugiato, ma al tempo stesso con la consapevolezza che non per tutti è così, non sempre ciò accade, non in tutti casi il percorso si rivela vincente; c’è chi resta senza casa, trasportato dagli eventi, in balia della storia e di incontri più o meno fortuiti, in uno stato di asservimento e di subalternità a qualcun altro, in mano a culture diverse che si incontrano, si scontrano, acquisiscono e perdono potere.
Ecco, lui oggi è a cavallo tra queste culture, calato nel presente, in mezzo a generazioni di rifugiati: forse c’è un messaggio preciso dietro a questo Nobel, un messaggio con cui dobbiamo fare i conti, forse bisogna andare indietro, più indietro della caduta del muro di Berlino, più indietro delle guerre mondiali, verso il colonialismo che le ha precedute, perché ci sono guerre silenziose che si combattono ogni giorno.
“E’ il pomeriggio del 23 novembre. All’aeroporto di Gatwick atterra Saleh Omar. Con sé porta solo una borsa, dentro la quale c’è una scatola con dell’incenso e poco altro. Aveva un negozio, una casa, una moglie, una figlia. Ora è solo un profugo in cerca d’asilo, la sua unica difesa è il silenzio…” Abdulrazak Gurnah. Forse dovremmo semplicemente ricominciare da qui.

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