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LA DIMENSIONE FANTASMATICA DELLA VISIONE ARTISTICA
di Luca Nava
Il primo fu Leon Battista Alberti, proponendo di considerare la cornice come una finestra dalla quale si può idealmente guardare un panorama diverso da quello che è il solito paesaggio al quale si è assuefatti.
Una visione questa che fa luce su ciò che il più delle volte gli occhi non vedono e che l’anima a fatica comprende.
Si tratta di una visione di una realtà trasfigurata dalla necessità dell’anima di trovare soddisfacimento alla richiesta di senso che vada al di là della immanenza, complementare alla necessità del corpo di alimentarsi con i giusti e salutari cibi.
Per introdurre il tema della fantasia nonché il ruolo che essa assume nella genesi artistica, si rivela strategia utile far ricorso all’acrostico del sostantivo “Fantasia”.
Mentre l’acronimo è un termine utile, l’acrostico si dispiega come verso utile.
Nell’immagine proposta a pedice è proposto tale Acrostico: “finestra aperta nel tempo affacciata su immaginarie associazioni”.

“Nihil intelligit anima sine fantasmate” traduceva da Aristotele, Gulielmo di Moerbeke, ossia L’Anima non capisce nulla senza il Fantasma, più precisamente, senza il prodotto della fantasia, anche se la fantasia talvolta può essere fuorviante.
Ma se si riuscisse a far vedere le idee che sono nella fantasia, e non viceversa, si eviterebbero quei travisamenti ….. talvolta grossolani ed evidenti, specie in gran quantità nell’arte contemporanea.
La fantasia è abitata dalle idee, ed il termine “idea” deriva dal termine greco “idein”, originariamente “videin” da cui il latino “video” e dunque l’Italiano “vedere”: la fantasia è quindi una finestra attraverso la quale si può vedere.
Però la fantasia è, come dice l’acrostico “aperta nel Tempo”, perché è una facoltà dell’anima razionale ma legata alla struttura sensitiva corporea.
Ciò immediatamente rende evidente che se la Psychì, ossia l’anima, se separata dal corpo, non può esercitare questa facoltà: per potersi esercitare necessita dell’organo, esattamente come la facoltà della vista necessita dell’organo occhio per potersi esercitare.
La fantasia può esercitarsi fintanto che l’anima è unita al corpo, ossia si trova nella temporalità.
Dunque questa finestra fantasmatica è una temporalità, anche delle esperienze sensitive, che non sono, mai uguali a loro stesse.
La fantasia trattiene quelle immagini che, proprio perché inserite nella temporalità sono soggette a cambiamento, sviluppo e conseguente significato.
L’acrostico dice anche che la fantasia si “affaccia su immaginarie associazioni”.
Allora la fantasia riceve le immagini, ma altra facoltà è quella di associare le immagini per generare significati diversi: in questo risiede il nucleo fondante un’opera d’ arte che travalica l’ostacolo che la lega alla temporalità, rendendola obolo simbolico di un’esperienza di vita e vivificante.
Se la Fantasia quindi presiede alla produzione dell’immagine fantasmatica, allora ci si potrebbe chiedere se questo sia da considerarsi come aspetto positivo o negativo.
La risposta è nella affermazione del sopracitato Guglielmo Di Moerbeke: se l’anima non intellige nulla senza il prodotto della fantasia, allora diviene chiaro che tale facoltà diventa desiderabile.
Viceversa, e questo è il fallo, anzi la voragine entro la quale cade una buona fetta della produzione d’arte moderna e contemporanea, che esercita la fantasia in modo sconsiderato, mettendo non le idee nella fantasia ma facendo viceversa, prendendo, per dirla con termini gergali “fischi per fiaschi”.
Un conto è viaggiare di fantasia, altro è saper usare la fantasia a scopo rappresentativo, e la cosa risulta chiara se l’opera è vista come esempio di un frammento di realtà trasfigurata o filtrata.
Significa rappresentarla, questa realtà, come un’altra, che non è la stessa, ma a legarle c’è una modalità, un “come”, non un “cosa” che la rappresenta.
Questa è l’operazione di associazione delle immagini foriera della nascita di una realtà altra, ma altrettanto autentica.
Quando si usa la fantasia è “fantastico”, perché l’operazione di associazione delle immagini non è dettata da un’esigenza, ma da una convergenza un nesso che “conviene”.
Il termine “NEXUS”, la cui radice e’ Nes/Nas, indica il termine dell’eterno ritorno, la “nostalgia”….quando si “riavvolge il nastro”, significa far ritorno ai significati di quelle immagini che ritornano in modo stringente, a creare , come frasi, ma attraverso associazioni di immagini, sintassi nuove, la cui tenuta è labile, perché si tratta di associazioni e non di legami, dunque basta una piccola falla in questi rapporto di convenienza, che non c’è più nulla che giustifica quella associazione, e l’opera ingenerata perde di senso e quindi dello status “artistico”.
Tutto ciò l’anima lo percepisce, lo intende ma certo non lo capisce, e non è nemmeno questione di erudizione, si tratta dello stesso meccanismo che molto spesso, anche se non sempre è cosi, della percezione che si ha difronte ad alcune manifestazione di arte(?) spesso contemporanea, che anche dopo fumose spiegazioni di critici di grido, nella interiorità individuale non muovono alcuna emozione.
Questo perché l’arte DEVE, muovere prima emotivamente, e se ciò accade, per i motivi di appartenenza e richiesta di significato sopra citati, sicuramente vi si ritrova anche un contenuto concettuale: le due cose non sono divisibili.
Quando invece, è necessaria (e non piuttosto integrativa) una spiegazione razionale di un’opera per suscitare un moto dell’anima che da sé non si manifesta, non solo non si intende, ma nemmeno si comprende, e per i motivi sopra esposti é perché, nella maggior parte dei casi, non c’è nulla da capire.

