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IL MOSAICO DI OTRANTO: UN ARCANO LUNGO 857 ANNI
a cura di Alessandra Politi
C’è un gioco di luci ed ombre nella piazza deserta, illuminata dai raggi del sole, che il vento disperde e fa ondeggiare, giungendo come un urlo dalle stradine del borgo, che qui confluiscono.
Un gioco che, se alzi gli occhi fino al rosone a 16 raggi a trafori gotici della Cattedrale, ti accorgi che ha il suo culmine vittorioso proprio lì, in quel cerchio scuro che si staglia sul bianco delle pietre che un tempo furono impiegate per costruire questo luogo di culto cattolico, simbolo della cittadina sul mare e di quel sacrificio che dal 1480 si ripete, sommessamente, ogni giorno, sotto gli occhi dei visitatori che qui giungono, quasi a contare le ossa di 800 martiri, orgogliosamente custodite nelle alte teche di cristallo, in fondo alla navata destra, che termina nella cappella dei Martiri.
Quest’opera fu commissionata dal vescovo di Otranto, Gionata, fra il 1163 e il 1165 e realizzata nell’arco di due anni da un monaco cristiano e mosaicista, Pantaleone.
Un lavoro “eterno” quello portato a termine con tasselli, colori, polveri, pietre, maestria: il lavoro prezioso delle cose minuscole.
Il mosaico non ha uno svolgimento immediato, richiede tecnica e dedizione, un percorso delicato di assemblaggio, di stabilità visiva, di applicazione, di veridicità sui rapporti tonali e chiaroscurali del cromatismo.
Il mosaico medievale, in particolare, essendo influenzato dall’arte romanica e bizantina, introduce accanto ai frammenti di vetro, le pietre colorate, la malachite, i lapislazzuli, il marmo, la madreperla, le pietre naturali.
Anche in questo caso, il soggetto riguarda episodi prettamente biblici, figure allegoriche atte a spiegare ai fedeli concetti astratti, favole o gesta cavalleresche, che testimonino la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte e che incitino il cristiano a combattere contro il male e a difendere la fede.
Questo è esattamente ciò che ritroviamo nell’Albero della Vita di Pantaleone, in questi tasselli che s’incastrano per comporre scene bibliche, animali mostruosi e personaggi dell’antichità.
Al vertice dell’albero viene riprodotto “Il peccato originale” di Adamo ed Eva e la loro cacciata dal giardino dell’Eden, mentre notiamo, com’è tipico della migliore tradizione medievale, la ricostruzione di animali e figure mitiche nell’area del presbiterio, dove 16 medaglioni racchiudono le immagini di un Toro, un Behemot (creatura biblica leggendaria), un Leviatano (creatura mostruosa e temibile), un Dromedario, un Elefante, una Lonza (ai tempi di Dante Alighieri indicava un felino, presumibilmente una lince), un Antilope, un Centauro (creatura mitologica greca, metà uomo e metà cavallo), un Cervo, un Unicorno, la Regina di Saba, il Re Salomone, una Sirena che stringe le sue due code, un Leopardo e un Ariete.
Nell’abside sono presenti episodi del “Libro di Giona”, una scena di caccia al cinghiale e Sansone che lotta contro un leone.
Quindi la narrazione procede secondo l’ottica del monaco Pantalone, discendendo lungo l’Albero della Vita, cioè non partendo dalle sue radici per salire verso l’alto, ma digradando e sviluppandosi lungo il tronco, fino a raggiungere le radici. Come se l’albero stesso, nel suo progredire, avesse portato verso l’alto gli eventi accaduti al momento della sua nascita e crescita.
Subito dopo la cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden, andando verso destra, si può osservare la vicenda di Caino e Abele e più giù ancora il ciclo dei mesi dell’anno, col relativo nome e segno zodiacale, ognuno racchiuso in un medaglione che lo contraddistingue.
A sinistra, sempre procedendo verso il basso, viene ritratto il Diluvio Universale e le gesta di Noè e subito dopo la costruzione della Torre di Babele, con una serie di figure simboliche, tra le quali spicca una scacchiera, elemento enigmatico, sorretto da un centauro. Ancora oggi si discute sull’effettivo significato di questa raffigurazione: lotta tra bene e male, nelle case bianche e nere? Ineluttabilità del destino? Riferimento all’altro mistero del Santo Graal? Per gli appassionati del Nobil Gioco l’incognita persiste.
A destra, un po’ più giù, la figura di Alessandro Magno, che ascende al cielo sopra due grifoni.
Giungendo alle radici dell’albero, dove secondo autorevoli interpretazioni vi è una rappresentazione del monoteismo e del politeismo, troviamo due grandi elefanti, che reggono simbolicamente tutto il disegno del pavimento, emblemi della fiaba di Barlaam e Iosafat (protagonisti di un popolarissimo romanzo agiografico medievale).
Nella navata destra e in quella sinistra della cattedrale si sviluppano altri due alberi, il primo contrassegnato da figure zoomorfe, mitiche ed umane; il secondo icona del Giudizio Universale, con l’intento di evidenziare il netto contrasto fra Paradiso e Inferno, Redenzione e Dannazione.
Il mosaico di Pantalone è considerato un’opera grandiosa e unica, per complessità e livello di elaborazione. Essa è stata paragonata a un’enciclopedia d’immagini dettagliate e tipiche della cultura medievale.
L’Albero: destini narrati su pagine di un libro, fitte di mistero, ma sempre aperte per chiunque, ancora oggi, voglia leggerle.

