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Trasportazioni pittoriche – Figurazione informale nell’arte di Franco Tarantino
presentato dal dott. Domenico Montalto in occasione della Mostra al prestigioso Museo Magi 900 di Pieve di Cento
Franco Tarantino è pittore figurativo di lungo corso, dal mestiere raffinato. Insieme al regista americano Quentin Tarantino, è lui il Tarantino più rinomato nel mondo delle arti. Il cineasta si caratterizza per un linguaggio pulp, iperrealista, icastico fino alla brutalità. Al contrario, Franco Tarantino ci presenta un immaginario gentile, sognante, fiabesco, che offre una via di fuga dalla cattiveria del mondo reale.
Milanese per scelta di vita ma pugliese e adriatico d’origini, Tarantino ha percorso con fedeltà una strada espressiva originale e apparentemente “passatista” nello scenario del duraturo ritorno alla ”pittura dipinta” che ha caratterizzato l’arte contemporanea in quest’ultimo decennio; nello scenario di un recupero del “fare” diviso in due filoni culturalmente e commercialmente egemoni: il neo-grottesco infantile, erede di Basquiat e dei vari graffitismi pseudourbani; e il copioso, talora stucchevole perfezionismo accademico di matrice fotorealista, spesso artificiosamente mixato con supporti e media eterogenei.
In questo panorama, che da molto tempo non registrava convincenti novità, spicca singolarmente il lavoro di Tarantino, pittore dal talento e dalla cifra ormai conclamati. La sua lunga e magistrale produzione figurativa, frutto di un’opzione risoluta e serena, segna le ragioni di una pittura culturalmente densa e complessa, che guarda al retaggio del passato, alla grande e perdurante lezione di Chagall, del Surrealismo, degli Espressionisti germanici e mitteleuropei, di certo Novecento italiano, fino a Bacon.
La sua pittura d’atmosfera, che sgorga diretta ma anche erudita, si segnala infatti per una singolare forza icastica, il cui correlativo linguistico sono un’iconografia satura e avvolgente, una stesura controllata e un colorismo delicato, peculiare, giocato su tavolozze crepuscolari.
Questa sua indole narrativa, sognante e onirica, esotica ed esoterica, che rinvia indubbiamente alle avanguardie storiche della modernità, da Klee a Picasso nonché all’arte dell’Africa Nera e a un moderato orientalismo, risulta però nutrita e temperata da una profonda saggezza comunicativa, da una nitida e ragionata consapevolezza della funzione del disegno, della linea e del colore, al fine di rendere la matissiana, musicale joie de vivre di quella sfera simbolica mediterranea alla quale l’artista sente di appartenere.
I bellissimi quadri di Tarantino sono picareschi teatrini della nostra memoria collettiva, non privi di appropriate citazioni letterarie: Don Chisciotte e cavalieri su nervosi destrieri; muse suadenti; figure mitologiche; insomma un’umanità teatrante, clownesca e burattinesca compressa in claustrofobiche situazioni, come documenta la grande tela Giustizia e Libertà che fa da focus espositivo a questa mostra. Un variegato racconto, una commedia umana che accade su sfondi campiti di tonalità innaturalistiche e crepuscolari: rosa, violacei, blu intensi, verdi freddi, tutti colori che rimandano otticamente e simbolisticamente a un eden ideale e, più profondamente, all’interiorità, all’io dell’autore, a un sentimento di rivolta morale, di evasione dal reale, di bellezza sognata. Un sentimento nobile nonché sommamente contemporaneo, nel quale tutti possiamo riconoscerci.
Ora però Tarantino presenta di sé un’immagine nuova; una ricerca espressiva inedita e culturalmente attualissima, che l’artista sta intraprendendo da tempo, che si è andata nitidamente precisando ed imponendo, e che finalmente è l’oggetto di questa personale dedicatagli dal prestigioso Museo Magi 900 di Pieve di Cento, fondato dall’Imprenditore Giulio Bargellini, collezionista d’arte, mecenate e filantropo. Una verifica critica e museale adeguata alla natura e alla qualità del fatto e dello snodo: un ciclo coerente e congruo di dipinti a olio, acrilici, vernici, collage.
In questa nuova “stagione” di Tarantino, la figurazione s’emancipa dal dato narrativo trasformandosi gradatamente ma inesorabilmente in una sintesi puramente informale, che privilegia la gestualità, la libertà e persino la capacità del dripping, delle colature, del collage materico, in una sinfonia di segni, di grafismi, di textures, di velature, ma dove il collegamento con l’opus precedente resa comunque sotto traccia, decifrabile nella sapienza e nell’armonia del gesto, nella ritmica squisitamente grafica della composizione, nei colori che sono quelli inconfondibili, di sempre.
Queste atipiche e sorprendenti morfologie di Tarantino, dinamiche e plurali, ripulite d’ogni aneddoto pedante e impostate invece, unicamente, sulle strategie della forma, documentano una sensibilità attenta, èvocano serenità, innocenza, rinnovano l’enfasi primaria della pittura che si fa segno e materia.
Masse e tarsie di colore le animano, costringendo l’osservatore a leggerne la sottigliezza tramite un’indagine ravvicinata, soffermandosi sul macro-dettaglio, sul pennellare, sulla manipolazione dei pigmenti e del supporto, sulle gocciolature e sullo spruzzo che diviene liberamente astratto, campo del libero agito gestuale. Impaginata sempre con eleganza, questa nuova pittura di Tarantino è una scena atemporale, collocata fuori dalla verosimiglianza del senso comune, bensì appartenente al regno degli archetipi e della psiche, dove primeggia la poesia, e dove il tema, sempre elettivo, ci restituisce con accenti nuovi e attuali – nell’epoca dell’immagine virtuale – la sorprendente vitalità e corporeità della pittura.

