Cinema neorealista copertina

Cinema neorealista: dall’Italia al mondo

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Cinema neorealista copertina

SOFIA KATARA-XILOGIANNOPOULOS – Il cinema ha inaugurato un linguaggio universale ed ha offerto un punto di incontro internazionale sia sulle tematiche che sui modi espressivi. Il pubblico di qualsiasi nazionalità, lingua, religione o atteggiamento politico, può identificarsi coi protagonisti e immedesimarsi colle storie raccontate e visualizzate.
Il suo potere è innegabile e perciò è anche stato strumentalizzato dai diversi regimi politici e usato come mezzo di propaganda. La lingua in particolare offre possibilità infinite, siccome i messaggi di qualsiasi tipo e meta, articolati in modo opportuno, possono attraversare lo schermo e raggiungere le menti ed i cuori di praticamente ognuno degli spettatori.
All’inizio il cinema faceva quasi assolutamente da veicolo della fantasia. Offriva punti di sfogo dalla banalità quotidiana, specialmente dopo periodi bellici. È per questo motivo che durante il primo dopoguerra e la Seconda Guerra Mondiale, film a maggior ragione americani, ma anche italiani, hanno catturato l’interesse del pubblico diffondendo la moda dei cosiddetti “film di telefoni bianchi”, dove il lusso e l’atmosfera raffinata facevano viaggiare ai poveri e meno fortunati.
Durante però il secondo dopoguerra, il cinema italiano del Neorealismo fa il giro del mondo, grazie a Maestri geniali ed innovatori. Registi come Rossellini hanno sfruttato persino la povertà assoluta, a causa dell’Oppressione tedesca ed hanno creato un cinema preciso, puntuale, dove la mancanza anche di pellicola rendeva critico il bisogno di un montaggio limitato, siccome non si permettevano sequenze da sprecare. Così i registi hanno dovuto creare nella loro testa un film intero in anticipo, innalzando però a dignità di Arte vera una nuova lingua, che parlava della Verità. Le macchine da presa escono fuori dagli studi grandiosi e vengono allestite all’aperto, vicino ai quartieri umili. Insieme agli attori professionisti recitano anche dei dilettanti, uomini e donne con volti travagliati, pieni di autenticità.
Uno dei film classici di questo periodo è indubbiamente il “Ladri di biciclette” (1948), di Vittorio de Sica. Una storia amarissima, uno sguardo imperterrito ma anche tenero al percorso quotidiano e sempre in salita di persone con mani vuote di denaro e cuori pieni di angoscia. Gli eroi non solo affatto eroici, vengono addirittura umiliati e privi di ogni autostima. Il grido in pieno romanesco “A ladro!!!” della scena finale ci suona ancora nelle orecchie riempiendoci del senso di ingiustizia. La voce lacrimosa e l’uso di questo “A” come singhiozzo prima della parola – chiave del film intero, ci porta in mente un altro grido, quello di Stanley Kowalski – un Marlon Brando straordinario – nel “A street car named Desire” (1951), quando chiama la sua amante “Eh, Stella!!!!!”. Al pubblico abituato ai film musicali, un grido quasi zotico fa svegliare dei sentimenti più intimi, le paure più profonde.
È soprattutto la lingua, il dialetto, la pronuncia che verifica lo stesso scopo del film e lo rende indimenticabile. Gli attori recitano perfino alle spalle voltate, guardano attorno con la timidezza di un bambino spaventato e parlano senza la sicurezza dell’attore professionista, ma con la semplicità di chi ha sopravvissuto a una guerra mondiale, ha visto delle cose oltre ogni incubo e quindi una macchina da presa non avrebbe mai potuto metterli in imbarazzo.
A fianco a questo film possiamo annoverare anche il “I soliti ignoti” (1958), un film comico, ma con sfumature drammatiche. Perché, chi avrebbe mai potuto accontentarsi di una pentola di pasta ai ceci anziché del denaro, sennò qualcuno che ha provato sulla pelle la Fame e la Morte?
I grandi Maestri italiani da veri e propri pionieri aprono nuove strade per i cineasti del futuro. Tra di loro non possiamo trascurare quelli greci, che con un paio di decine di anni in ritardo entrano al loro turno nel club del cinema che mira non assolutamente al divertimento o alla cultura, ma prima di tutto al impegno morale, alla denuncia sociale. Il cinema diventa la voce dei deboli e svela le loro condizioni mettendoci al loro posto.
E cosi, i soliti ignoti alla greca provengono da un “Quartiere il Sogno”, «Συνοικία το Όνειρο» (1961) di Alexandràkis, poveri migranti dell’Asia Minore, che vedono la Vita sorpassarli senza poter saltare sul suo treno. Storie parallele, volti quasi senza trucco – tranne la bella del quartiere che imita Brigitte Bardot – e una rapina tragicomica, dove i ladri per pietà salvano la vita alla vecchia signora anziché derubarla. Il suicidio del vucumprà disperato viene seguito da una scena di solidarietà e gli aquiloni alla fine, volando sulla colonna sonora di Theodoràkis ci portano lontano dalla miseria. Anche qui la lingua scorre in modo semplice, il linguaggio resta limitato e indicante dell’ignoranza e la povertà o a volte la maleducazione degli emarginati, la voce è doppiata, ma lasciata con il suono rauco di chi non ne può più.
Un ultimo dono del neorealismo al mondo del cinema è indubbiamente la fiducia dei registi nei confronti degli attori dilettanti. Un film greco sulle loro orme da cui possiamo scegliere una scena relativa sarebbe “La ragazza in nero”, «Το κορίτσι με τα μαύρα» (1956) di Cacoiànnis. La scena dei bambini annegati non sarebbe mai stata così straziante senza la partecipazione di questi volti anonimi, pieni di rughe, sdentati, scompigliati, che gridano come un Coro di una tragedia antica “Assassino!!!”.

Cinema neorealista film
Cinema neorealista film

Grazie al cinema italiano e al neorealismo in particolare non abbiamo soltanto accolto un gruppo sociale a lungo assente dagli schermi. Abbiamo soprattutto manifestato il proprio orgoglio, la propria dignità a prescindere dalle nostre origini. La lotta di ogni tipo, quella per i diritti umani, per l’eliminazione della povertà, per l’uguaglianza davanti alla Legge e per lo Stato Sociale ha preso dimensioni straordinari e una dinamica inaspettata grazie ai volti, le voci, le musiche e le sequenze in bianco e nero che le hanno reso parte del patrimonio universale, misura del valore dell’essere umano.

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