Alcune riflessioni sull’Ecce Homo di Genova

Cultura

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Alcune riflessioni sull’Ecce Homo di Genova


di Francesco Caracciolo

Analizzando in presa diretta i capolavori  di Caravaggio e  studiandone in maniera approfondita l’opera sua attraverso la sterminata mole di  pubblicazioni e di saggi specialistici nonché guardando e riguardando i documentari dei maggiori esperti del settore, mi chiedo come mai alcuni insigni e poco avveduti esperti come il Longhi abbiano commesso un errore così eclatante. Mi riferisco al dipinto  “Ecce Homo” di Genova conservato a Palazzo Bianco e inserito nel catalogo di Caravaggio dallo stesso Roberto Longhi nel 1954 ( fig. 1). Il quadro, salvatosi miracolosamente a seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, venne sottoposto ad un accurato restauro ad opera di Pico Cellini che con la sua grande competenza ha ridato  nuova vita ai capolavori del grande lombardo quali la Giuditta di Palazzo Barberini e la Maddalena Klain.

Per conoscere profondamente Caravaggio occorre  innanzitutto ripercorrere attentamente tutto il suo iter pittorico dagli esordi romani fino alle ultime tragiche esperienze a Napoli, Malta e in Sicilia, affinché si possa cogliere il dramma contenuto nei suoi dipinti che esprimono una personalità tormentata ed estremamente fragile.

Attraverso le numerose fotografie presenti nelle numerose pubblicazioni dedicate al genio di Caravaggio, si riesce a recepire immediatamente la portata rivoluzionaria della sua pittura incrociando il dato stilistico e pittorico con le numerose fonti dei suoi biografi che sono importanti e tutt’altro che trascurabili.

Il dipinto in questione, a mio avviso, non può trattarsi di un’invenzione del Merisi poiché non ha la qualità e il valore di un originale da lui stesso realizzato: manca  totalmente la forza interiore, la tensione drammatica: basti analizzare  le parti anatomiche ed alcuni dettagli compositivi quali le orecchie, le mani e i tratti spigolosi dei personaggi  che appaiono estranei  al realismo del Merisi; si osservi persino  il panneggio così fitto e profondamente nordico il quale non trova un precedente nella resa materica dei panneggi di Caravaggio. La composizione è  statica, forzata e teatrale. Si nota una certa carenza compositiva  della raffigurazione da cui traspare incertezza  e debolezza.

Inoltre, a proposito di un altro Ecce Homo (fig.2), cioè quello esistente ad Arenzano (Genova) e replicato in varie copie spacciate per originali sia dal Marini che dalla Gregori e da Gianni Papi, si tratta solamente, a mio avviso, di copie che derivano da un’opera tarda di Caravaggio eseguita a Messina o a Napoli e di cui si coglie un’eco in un quadro attribuito a Battistello Caracciolo, tuttora  conservato in Calabria nel Santuario di San Francesco di Paola (fig.3). Lo studioso Maurizio Marini collegava l’iconografia dell’Ecce Homo, replicato in varie versioni tra cui quella scoperta da Gianni Papi ad Arenzano, alle quattro storie della passione commissionate nel 1609 dal nobile Niccolò di Giacomo durante il periodo messinese. Non a caso, i personaggi del dipinto sono gli stessi modelli che posano per l’Adorazione dei pastori di Messina (Marini).

Infine, nell’Ecce Homo di Genova sono  presenti dei personaggi che non mostrano sofferenza e turbamento così come nei capolavori autografi del maestro.

Addirittura ci vedo delle affinità con alcuni personaggi dei quadri del pittore nordico Stomer, pur essendo state eseguite in anni posteriori al Caravaggio.


Alcune riflessioni sull’Ecce Homo di Genova
Fig.1

Alcune riflessioni sull’Ecce Homo di Genova
Fig.2

Alcune riflessioni sull’Ecce Homo di Genova
Fig.3
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